Siamo a Potenza nell’ anno 1926. Il fascismo si è saldamente impossessato della Nazione e già da qualche anno tutte le città italiane sono organizzate in quello che, negli anni a venire, sarà ricordato come il Ventennio.

Potenza è il capoluogo di Basilicata ma per l’epoca è poco più di un paesone. Certo, ospita gli uffici regionali, ospedale, stazione ferroviaria e altre infrastrutture che la contraddistinguono dal circondario agricolo, ma è pur sempre una città dove tutti si conoscono.

Al suo interno costumi e usanze tipiche di una certa mentalità di inizio secolo sono ben radicati e la gente si guarda bene dall’esporsi al pettegolezzo urbano.

Accade quindi in una notte del 1926, non ci è dato sapere quando ma ci piace immaginarla nel freddo potentino di un gennaio fascista, che viene ritrovato , sulla soglia dell’ ospedale San Carlo, che all’epoca si trovava presso il Castello Guevara, un bambino avvolto in fasce. Piagnucolante ha attirato l’attenzione di alcuni passanti che lo hanno consegnato ad alcune suore.

All’interno delle sue fasce è stato trovato un biglietto con su scritto: “CHIAMATELO MATTEO: I SUOI GENITORI SONO VIVI E SONO MORTI”.

Sulla stampa dell’epoca il fatto veniva descritto come il risultato di amori clandestini e il biglietto fu ritenuto un particolare “cinico”.

Nessuno saprà mai, tranne i genitori di Matteo, il perchè di quella scelta e se fosse stato o meno un frutto di amore proibito e/o clandestino ma ci piace immaginare che Matteo oggi abbia compiuto 98 anni in salute e che i suoi discendenti abbiano a conoscenza la sua storia.

O forse Matteo non ha raggiunto la considerevole quota 98 ma a Potenza o chissà dove per l’Italia viva qualche suo discendente che possa riportare alla luce questo avvenimento potentino del 1926.

Articolo originale del 1926

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