Matera non fu soltanto la prima città d’Italia ad insorgere contro i nazisti (con tutte le contestualizzazioni del caso) fu anche la prima cittá del meridione a ribellarsi ai latifondisti, veri e propri obiettivi della rivolta contadina poi sfociata in guerra brigante.

A giugno del 1860 si respirava qualcosa di strano nell’aria.

Giovan Battista Corazza, un liberale già imprigionato dai Borbone nel 1827 per idee cospirazioniste, si mise a capo della giunta insurrezionale della città dei Sassi.

Garibaldi era ancora in Sicilia e la notizia della sua avanzata arrivava veloce in Lucania

Corazza in quel giugno durante un comizio in piazza Duomo disse testuali parole: “Tutti i contadini e gli artigiani di Matera avranno diritto alle terre espropriate e indebitamente acquisite dai proprietari terrieri”.

Ovviamente questo annuncio non piacque ai latifondisti materani ma la confusione in città cresceva e gli 80 gendarmi in servizio sembravano insufficienti a garantire l’ordine. I gendarmi tra l’altro erano rimasti fedeli al Re Borbone e spingevano la popolazione a desistere dalla possibile rivolta ricordando loro ciò che successe nel 1848 . Come le promesse di allora, le stesse di quel 1860, si rivelarono false.

Il tenente Nicola Signoretti partecipò alla riunione persuadendo la popolazione e garantendo loro che il Re Borbone avrebbe dato loro le terre senza bisogno di nessuna insurrezione.

La popolazione si ritirò ma restò vigile. Nell’animo era entrata in modalità rivolta.

Ai primi di luglio 1860 a Matera era festa. La millenaria festa della Bruna. Garibaldi era ancora in Sicilia ma non aveva ancora conquistato la città chiave di Milazzo. Regnava ancora tanta incertezza.

Il sottintendente Frisicchio, rappresentante dei Borbone a Matera, cercò di convincere i contadini in agitazione a desistere. Diceva loro che il nuovo Re sabaudo non avrebbe dato loro nessuna terra espropriata mentre il Re duosiciliano avrebbe accontentato gli animi. Ma resosi conto dello stato di massima agitazione regnante ordinò all’ispettore Pisani e al tenente Signoretti di infiltrare qualche loro uomo di fiducia nelle riunioni contadine che, a suo dire, tramavano qualcosa. Facile trovare qualche spia data la confusione dell’epoca, con la gente pronta a passare da un lato all’altro dell’Italia.

Si venne a conoscenza di una crescente rabbia contadina pronta ad esplodere a brevissimo e difficile da contenere. Lo dimostrò, in quei giorni di luglio, l’aggressione al canonico Vincenzo Torrio che fu circondato da 60 persone e malmenato.

Quell’episodio convinse molta gente influente materana  a lasciare la città. Il principe Pignatelli, il marchese Venusio,Porcari,Giudicepietro e Volpe scapparono da Matera. Vi rimase solo il conte Gattini, convinto di non avere nulla da temere da quella gente che conosceva bene.

“Sono disposto a restituire le terre demaniali” fece sapere alla popolazione, ma con Garibaldi in arrivo e una rete di false notizie e false promesse in merito alla nuova casta sabauda pronta a insediarsi, da parte di liberali creduloni , i contadini non si accontentarono delle promesse del conte.

A Matera in quei giorni continuava ad arrivare gente. Sarebbe accaduto qualcosa. Girava voce che qualcuno avesse organizzato una rivolta. Una grande rivolta con epicentro Matera ma destinata ad allargarsi.

Così il 7 agosto 1860 esplose la rabbia dei contadini.

Uomini armati di forconi, zappe, coltelli si recarono sotto il balcone del conte Gattini, unico latifondista rimasto in città e simbolo del potere.

Gattini ebbe paura, probabilmente maledisse il giorno che decise di restare in cittá e per stemperare gli animi pensò di lanciare monete dal balcone. Ma la folla rispose a malo modo. Anzi si risentí. Di quelle monete non sapevano che farsene quegli uomini senza terra. Poi partì un colpo di fucile. La situazione degenerò e il conte fuggí insieme al nipote Appio e Laurent attraverso un passaggio segreto che portava alla stalla del duca Malvezzi.

La folla, entrata a palazzo Gattini si impossessò del tesoro di famiglia e catturò Rondinone, cameriere del conte, il quale, impaurito, riferí dove si trovassero i tre fuggiaschi.

Gattini fu prelevato con la forza nel passaggio prima di raggiungere la stalla del duca Malvezzi e con lui Appio e Laurent al grido di “Viva il Re”.

Il conte fu ferito con una bastonata in testa e poi con la baionetta. Laurent fu ucciso per primo.

Poi toccò al conte, trafitto da un forcone. Dopo la folla infierì e fece scempio dei cadaveri.

I gendarmi non intervennero, ma rimasero a guardare.

Quello di Matera fu solo l’inizio di una serie di rivolte contadine in molti paesi vicini.

Quella di Matera fu anche e soprattutto una rivolta dettata dal malcontento e alimentata dalle false promesse che trovavano terreno fertile in una popolazione atavicamente sottomessa e in forte crisi per la mancanza del pezzo di terra da cui sopravvivere.

Ai contadini non importava nulla dei sovrani napoletani o sabaudi, a loro importava della terra e la guerra al latifondo rappresentava motivo di rivalsa sociale.

Quegli stessi contadini dopo qualche anno capirono che le promesse fatte loro dai liberali erano solo menzogne.

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