Da quando Carmine Crocco si diede alla macchia tra i boschi del Vulture, i comitati borbonici composti da benestanti di Avigliano, Melfi, Rionero, che facevano il doppiogioco, lo cercarono per affidargli l’arduo compito di riformare il Regno delle Due Sicilie.
Crocco, fallito il tentativo di espatrio in Albania, insieme al fido barbiere di Ferrandina Mastronardi e Giuseppe Nicola Summa stabilirono il loro quartiere generale a Ginestra.
In poco tempo ebbero chiare indicazioni sul da farsi. Il piano prevedeva conquistare il vulture/melfese e poi occupare Potenza.
Il primo paese conquistato dall’armata brigante, costituita da oltre 500 uomini ma destinata ad aumentare fu Ripacandida. Fu proprio lí che la popolazione, vedendo in Crocco un leader che parlava la loro stessa lingua, si arruolò e aiutò i briganti.
L’ingresso a Ripacandida fu appunto spianato da uomini e donne. Due di questi erano proprio di Ripacandida: Michele Di Biase e Michele Larotonda che Crocco nominò tenente.
Fu proprio a casa di Larotonda che si pianificò la conquista di Venosa. L’esercito agli ordini di Crocco aumentò.
Il 10 aprile 1861 cominciò la marcia su Venosa che all’epoca contava 8000 abitanti.
A difendere Venosa vi erano decine di guardie nazionali.
Le spie su cui Crocco poteva contare erano molte e proprio una di loro avvisò il capraio di Rionero che a Palazzo San Gervasio i soldati stavano per tendergli un agguato.
Crocco non ne fu preoccupato. Era l’ora della resa dei conti. Troppi i soprusi subiti da questa gente.
Divise gli uomini in più gruppi per aggirare da più fronti Venosa.
L’assalto partì da contrada San Nicola e l’arrivo a Venosa fu semplicissimo. I soldati si arresero prima ancora di combattere. 700 briganti armati entrarono nella città di Orazio. Gente lucana composta da contadini, ex soldati, patrioti del regno duosiciliano, disperati, tutti sotto un’ideale.
Rimasero a Venosa tre giorni. Crocco e Mastronardi furono ospitati nella casa della famiglia Rapolla. Chi si era opposto agli invasori fu ucciso e le proprie case saccheggiate. A guidare i saccheggi furono una trentina di venosini. Venne saccheggiata anche la casa del medico Francesco Saverio Nitti nonno del futuro primo ministro e presidente del Consiglio. Il medico venne ucciso reo di avere un figlio garibaldino.
Era giunto il momento di puntare su Melfi.


Lascia un commento