Quella domenica di luglio del 1994 l’attesa era snervante. Avevo praticamente aspettato quel giorno tutta la settimana, o meglio dalla semifinale con la Bulgaria.
Al Rose Bowl di Pasedena, Los Angeles, giocava l’Italia. E giocava contro il Brasile mica contro uno qualunque. Quel Brasile di Bebeto e Romario, Taffarel in porta, Dunga e Cafú.
L’estate era stata molto ricca di avvenimenti per me e dopo la vacanza in Cilento ero ritornato in Lucania. Quella sera davano la finalissima delle finalissime in piazza, al maxi schermo. Quella finalissima mancata quattro anni prima. Credo che in ogni località d’Italia avessero organizzato maxi schermi. Ci eravamo organizzati in maniera impeccabile col gruppo di amici storici. Partenza dal quartiere con ampio anticipo, arrivo in centro cittadino e posizionamento al centro della piazza.
Nell’Italia tornava Baresi dopo l’infortunio contro la Norvegia e l’operazione lampo. Impensabile oggi. Baggio tuttavia era in forte dubbio dato l’infortunio contro la Bulgaria che per molti era sembrato uno sfogo e le sue lacrime erano state confuse per lacrime di gioia. Invece il codino magico si era fatto male.
Ma quella sera, come tutti gli eroi rispettabili, era in campo. Sospiro di sollievo per tutti.
Faceva caldo quella domenica. La piazza era gremita. Lo spopolamento lucano negli anni ’90 non era ancora in stato avanzato. Noi eravamo tutti lí. Ci credevamo.
Eppure non sapevamo che quel giorno sarebbe terminata la nostra infanzia. Spesso cerchiamo l’avvenimento esatto che chiude un nostro macro periodo oppure l’ultima partita giocata sotto casa. Non la troviamo mai nei nostri ricordi. Invece quel 17 luglio 1994 sono certo che finí la nostra lunga infanzia che ha attraversato tre mondiali dal 1986 al 1994. A qualcuno di noi anche quattro.
La giornata era trascorsa nell’attesa dell’evento. Tra qualche ghiacciolo da 350 lire (o forse nel 1994 era già aumentato a 600 lire) e qualche partita sul duro asfalto del rione.
Quando Pizzul lesse le formazioni una certa adrenalina si impossessò di me. Ci credevo davvero. Volevo cancellare il volo disperato di Zenga quattro anni prima e provare per la prima volta l’ebbrezza della vittoria.
La partita fu segnata dal gran caldo. Lo percepivamo anche noi che assistevamo con un fuso orario di quasi 9 ore. Ma in campo la situazione era bloccata. Brasile più pericoloso ma l’Italia c’era e aveva anche le sue occasioni.
Quando Pagliuca compí quasi la papera delle papere fummo colti da infarto. La palla si stampò sul palo. Il bacio successivo del portiere azzurro è storia.
Baresi sembrava non aver mai lasciato la squadra mentre Baggio era palesemente al 50% ma diede lo stesso tutto.
Non bastarono 90 minuti di tensione nella folla del ’94. Altri 30 di supplementari poi i maledetti rigori. Quelli che posero fine alle notti magiche. Quelli che temevamo di più.
L’errore di Baresi ci proiettò subito in scenari nefasti ma quando Pagliuca neutralizzò Marcio Santos il suo urlo diventò imperituro e ci caricò come un gol al novantesimo. Ma durò poco.
Poi sappiamo tutti come andò a finire. L’errore di Massaro passó quasi inosservato perché l’ultimo rigore lo tirò lui, il nostro eroe. Colui che poteva permettersi anche l’errore. Ma quell’errore forse lo pagò esageratamente perché non è detto che ci avrebbe salvato. Aveva sbagliato Massaro prima, ricordiamolo. La “tenue” speranza di Pizzul lo confermava.
Nello stesso istante in cui quella palla finí oltre la traversa e Taffarel alzò le mani al cielo, la mia infanzia terminò per sempre e lasciò il posto all’adolescenza. Mi piace pensarla così. Mi piace attribuire a quel rigore questo avvenimento sacro.
Baggio rimase lí a pensarci un po’ , altri azzurri piansero. Tutti noi eravamo delusi e col magone. Ma forse più per la fine della nostra infanzia che per una sconfitta che negli anni a venire sarebbe rimasta lo stesso nella memoria collettiva come un qualcosa di inviolabile, di magico. Facemmo ritorno a casa a testa china.
Baggio, l’ultimo rigore, la nostra infanzia perduta.
Maledetti rigori, maledetti anni ’90. Quelle sconfitte del 1990 e del 1994 e perché no anche quella del 1998 ancora ai rigori, ci lasciarono quella sensazione di “mi manca qualcosa” che un po’ tutti rimpiangiamo. O forse è solo la nostra infanzia che è terminata a determinarla.


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