
Di certe ci sono tre cose in questa storia: che facevo la prima media, che andammo in gita scolastica a Napoli e che pioveva. Anzi diluviava.
La scuola aveva organizzato il tutto in tre bus. In ognuno di essi viaggiavano due classi. Due prime, due seconde e due terze. Tutto il tempo prolungato. O forse no. Questo non lo garantisco.
L’anno era il 1994, probabilmente il mese di aprile.
La partenza era stata fissata per le 5:30 ma anche questa è una cosa che non mi sento di garantire come verissima. Va beh, al massimo partimmo alle 6, mentre il rientro era previsto per notte fonda. Tutto in un giorno.
Ci incamminammo verso il luogo della partenza io e un mio amico che mi passò a citofonare che era ancora buio.
Devo dire che furono pochi i genitori che accompagnarono i loro figli, lasciando che andassero quasi tutti da soli e che per fortuna non esistevano foto e video ad immortalare tali eventi come se fossero state lauree o matrimoni un po’ grezzi. Anche se a dire il vero oggi mi venderei un rene per avere video di quegli anni.
La nostra gita scolastica prevedeva una visita al museo di Capodimonte e qualcos’altro che non mi viene in mente. A complicare i miei ricordi si mette il fatto che in terza media ritornammo in gita a Napoli e per evitare il mescolarsi dei due eventi cerco di descrivere solo quelli certi. Non è l’etá che avanza ma semplicemente perchè questa storia del passato è stata discussa tra amici davvero poche volte e quindi è rimasta vergine.
Tagliammo in due la Basilicata e raggiungemmo Napoli in prima mattina. Era un caos totale. Traffico, gente che andava e veniva, noi che urlavamo come Apaches, le professoresse disperate.
In un modo o nell’altro visitammo tutto quello che la gita prevedeva. Poi, e qui inizia la magia del mio ricordo, in serata ci fermammo in piazza Municipio, forse per andare a visitare la Galleria Umberto e il San Carlo. Forse li visitammo o forse no perché iniziò a diluviare.
Uno dei dilemmi più grandi della mia esistenza è stato cercare di spiegarmi perché quel diluvio di piazza Municipio fosse così importante e incantato nel mio ricordo. Ho cercato risposte più volte senza mai venirne a capo. Poi col tempo che è passato, nemmeno troppo a dire il vero, ho capito una cosa fondamentale. Il dettaglio. Ciò che sta intorno all’evento, al luogo, al tempo. Esso diventa più importante del fatto stesso. È l’unica spiegazione che riesco a darmi sul perché, di tutta questa gita scolastica di cui potrei davvero dirne tante, mi soffermo invece su un dettaglio apparentemente di poco conto.
Ma di poco conto il cazzo. In quel diluvio in una piazza Municipio cupa, bagnata e illuminata solo dai rossori della sera, pensieri evasivi di libertà adolescenziale si impadronivano di me proiettandomi in un sogno che la mia memoria ha conservato ed ha reso eterno.
Non mi soffermerò a raccontare degli intrecci amorosi, delle speranze e delle controversie che oggi potremmo ribattezzare tenere ma che all’epoca avrei definito senza nessun dubbio, nel nostro contesto sintetizzato ed adolescenziale, “quasi porno”, e quel quasi faceva la differenza. Mi soffermeró invece su quel cazzo di diluvio in piazza Municipio che per 99 persone su 100 può non voler dir nulla ma per me vale tutto. E anche se vivessi 100 vite rivarrebbe tutto.
Ho provato, poche volte, ma ci ho provato, a chiedere a qualcuno se ricordasse quella gita, quando capitava di rivedersi. A volte è successo di intromettermi in un discorso già avviato circa quel giorno, con più persone. Ci ho tentato sul serio per fiutare se ricordassero quel diluvio e cosa ricordassero di quel diluvio.
Qualcuno non ricordava nulla, altri solo flashback indefiniti, altri ancora ricordavano la pioggia.
Ma solo io credo di aver dato importanza a quel diluvio di piazza Municipio e anche in questo caso ho capito il perchè.
Le sensazioni interiorizzate in quel momento erano solo mie. Fottutamente mie.
Altri avranno conservato momenti diversi, altri ancora non avranno avuto quella sensibilità tale da cogliere significati attribuiti a momenti importanti. Dettagli.
Non mi interessa.
Forse per qualche tempo ho provato anche una certa vergogna a dare importanza ad un avvenimento un po’ così, senza senso. Invece, fatto mio il significato, mi rendo conto di quanto sarebbe stato superficiale non accorgersene.
Al ritorno in paese forse eravamo tutti un po’ più adolescenti anche se l’infanzia sarebbe terminata col rigore di Baggio al Rose Bowl di Pasadena qualche mese dopo. Così tanto per essere coerenti con ciò che ho scritto qualche giorno fa.

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