Ho sempre scritto con difficoltà di quel pomeriggio.

Come se fosse un qualcosa di troppo intimo,
personale, così radicato in profondità nella mia anima da non riuscire a condividerlo. Fino a oggi.

La verità è che quel pomeriggio mi affascina.

Oggi come allora.

Mi affascina il ricordo e l’associazione del ricordo stesso ad un tempo che non c’è più, ma basta chiudere gli occhi un attimo, un solo attimo, per rivederne colori, facce, momenti. A volte anche brutti.

La stanza con i poster del Rocksound che a ripensarla oggi mi dà un senso di solitudine ma che a conti fatti mi porta in un altro mondo con tutt’intorno poesia, magia con cui curare l’anima e scacciare le paure. Una favola lunga venti anni.

Favola destinata a non terminare quel giorno ma a perpetuarsi nel tempo fino al giorno che in fondo aspettavo.

E non ero il solo.

Un pomeriggio di marzo del 2005. Nella noia moraviana lucana giunse come un fulmine il trillio di un SMS. Che cambiò tutto.

Però.

Però c’era che quando da piccolo ti chiudevi nel tuo piccolo mondo e la finestra diventava una porta e le tende magicamente si trasformavano in reti bianche e la sedia diventava  Ruud Gullit,  l’attaccapanni Lothar Matthaeus e tu eri quasi sempre lui, Diego, succedeva che tutto si risolveva al massimo con un vetro rotto e botte da tua madre.

A marzo 2005 invece, bisognava fare una scelta.

Una scelta d’obbligo.

Una scelta che non sarebbe terminata quel giorno. Destinata a rincrociare la mia strada come un destino inafferrabile.

Non feci la scelta giusta. Ma questa è un’altra storia.

Sempre quel pomeriggio nella mia vita. Tanto, troppo quel pomeriggio per non sentire un groppo in gola mentre ne scrivo. Per la sua bellezza.

Da quel pomeriggio del 2005 non c’è stato un solo giorno che non ci ho pensato. Ma anche questa è un’altra storia.

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