Il viaggio inizia dalla statale 655 Bradanica,confine Puglia. Gli orizzonti dal lato pugliese si appiattiscono e vengono interrotti solo dall’ondeggiare delle Murge baresi che nascondono Gravina. Terra di nebbia.

Al bivio della SS 96 si svolta a destra,direzione Foggia e si continua per Bari per qualche centinaio di metri. Lungo la strada sbuca , nascosta,la fermata Basentello. L’ultima nebbia.
Quando il treno arriva, vedi solo due fioche luci e un rumore di diesel che ti sembra un camion.

La stazioncina è di quelle dimenticate da Dio, primo avamposto lucano in provincia di Matera lungo la tratta che da Bari porta a Potenza. Il luogo esercita un peso sulle emozioni in base al tempo. Se uggioso riflette il suo tormento. La prima cosa che pensi a Basentello è come possa mai esserci stato un treno, poi, chi mai lo abbia preso.
Il mio viaggio sul tratto Gravina-Potenza della Bari-Matera(con cambio ad Altamura) Potenza comincia qui. In questo luogo di confine appulo/lucano brullo, dai colori camaleontici e stagionali, nel territorio di Irsina. La sterminata campagna ripercorre la fossa Bradanica che chiude le Murge dal versante lucano salutandole alle spalle.
Lascio Basentello per arrampicarmi sui colli lucani. Irsina è sulla mia sinistra, silenziosa. Il paese esercita un peso nello spaziotempo curvando la linea temporale ed evocando ricordi giovanili. Ora la strada non è più diritta. Dopo qualche curva svolto a sinistra e trovo lei, la stazione di Irsina, fuori dal tempo. Bicolore, da un lato rossa tipica delle ferrovie appulo-lucane, dall’altro giallo ocra, testimone di viaggi ormai appartenenti ad echi del passato.
Il casolare è immerso nel silenzio e il suo freddo fascino muta al calare della sera. Essa è là malefica e meravigliosa, dispersa tra colline ventilate a parecchi km dal paese, in attesa del treno che arriva lento e doloroso, come un parto.

I segni di partenze e arrivi sono visibili, come le tracce di serate goliardiche di gruppi di giovani murgiani attraverso i loro graffiti.


Sosto una mezz’oretta. Irsina è l’unica stazione di un paese materano lungo la linea e un tempo era anche abbastanza frequentata soprattutto in direzione Bari. Da quando la linea è stata sospesa per manutenzione, la vegetazione ha fatto la voce grossa e la desolazione si è impadronita di ogni angolo.
Pervade un senso di inquieta pace, tale da ancorarti in quel luogo come se prima o poi dovesse sbucare il trenino da qualche parte nella Murgia. Lo aspetti perché rappresenta qualcosa legata alla tua vita in quel momento. Sai che non arriverá ma in realtà esercita ancora un qualcosa di magnetico in quel luogo. Qualcuno avrà iniziato i suoi sogni partendo di qui, altri saranno scappati dai propri incubi ma il piazzale antistante la stazione capovolge gli umori irradiando una luce strana, non compatibile con l’atmosfera da ultimo uomo sulla terra.
La giornata aiuta. C’è il sole ma immagini che ci sia la nebbia. Il posto è da nebbia. Da ultima nebbia, da ultimo treno e da ultimo sguardo prima di continuare il viaggio.

Ritorno sulla statale 96 direzione Potenza e dopo qualche km cerco l’ultima fermata del territorio irsinese prima del confine con la provincia di Potenza. Il borgo di Taccone. Non so stabilire se esso sia abitato o meno. Ai miei occhi appare come un villaggio dell’Arizona nella seconda metà del 1800. La fermata è sulla sinistra, sul ciglio della strada, te ne accorgi dal rosso pompeiano tipico.
Taccone forse non esiste. La immagino come un intercalare irsinese per ridere di qualcosa o per alludere a ignoti detti popolari. Invece ne leggo il nome,chiaro sulla facciata interna della fermata. Il luogo è di scambio merci, non ci sono dubbi. Ma la sua storia non la conosco. Mi piace solo immaginarla momentaneamente tra quelle colline.
Taccone esiste. È irsinese. Si narra di una festa annuale nel borgo. Non so chi lo abbia detto.
I dintorni della stazione sono vera e propria poesia. Quella autentica. Persistono gli ultimi scenari pianeggianti che apriranno le porte,in direzione opposta, alla Puglia.

Le colline di Taccone

É strana la Lucania. Per andare a Matera da lí con il treno, devi entrare in Puglia e poi, via Altamura tornare in Lucania. Ma la mia direzione è Potenza. I monti si intravedono in lontananza. Non sosto molto a Taccone. C’è poco da vedere. Ma quel poco segna gli sguardi fissandoli in punti indefiniti di struggente bellezza. Le balle di fieno. Mi viene in mente Taccone.
Mi allontano in direzione Genzano di Lucania e dopo un breve rettilineo mi giro prima che Taccone scompaia dalla mia vista come un vecchio ricordo tinto di rosso.
La provincia di Matera finisce qui.

La vegetazione a questo punto si infittisce ma gli orizzonti sono ancora ondeggianti e sterminati. Sto cercando la fermata improbabile di Ripa d’Api. Non so nulla di essa. Non so perché si chiami così nè perché è lí. Non sono nemmeno sicuro che abbia mai visto salite e discese sui rari treni della sua esistenza. Eppure la scovo in un involucro di foglie come una fata collodiana profumata.
Ripa d’Api è un quadro primaverile. Lungo i binari ci sono erbacce, fiori,spine. Ripa d’Api è intoccabile.

Ripa d’Api sta osservando me. Io mi trovo lí, esploratore di una fermata ferroviaria, di una linea sospesa e secondaria, persa nel vuoto delle colline a cavallo tra due province di un sud Italia anonimo.
Non vi sono tracce di orari. Tutto è murato. Inaccessibile alle varianti del tempo. Tutto è estremamente circoscritto al bioritmo della natura selvaggia che racchiude la fermata a scrigno come un tesoro sommerso.
Devo andare. Ritorno sulla strada in direzione Potenza. Ma Potenza è lontana forse un anno luce. Intorno a me ora la vegetazione è scomparsa e il verde delle colline tra qualche mese sará giallo oro.

Genzano mi appare difronte come una meta sudata. Un traguardo della vita. Da lí la linea ferroviaria riprende a funzionare. Il treno da qui arriva e parte. Per chissá quale destinazione. Per quale nulla. Ma ci sta. È sul binario. È il treno a diesel che sembra un camion. Non sono ancora arrivati qui gli Stadler. I nuovi mostri stile metropolitano, sempre a diesel,con l’aria condizionata. Quelli della tratta Matera – Bari.
A Genzano ci sono tracce di civiltá. A Genzano ci stanno anche le panchine. Un tempo la stazione funzionava e bene. Direzione Bari era frequentata, molto. Ora il tratto funzionante è solo quello opposto. Non arriva neanche a Potenza ma solo fino a San Nicola di Pietragalla, dove la linea torna in manutenzione fino ad Avigliano.


A Genzano non ci sta nessuno. Come da nessun’altra parte fino ad ora. Il paese , lontano, non si vede. Le stazioni così, le immagino con la pioggia. L’attesa del treno per Potenza è un qualcosa di biblico. È fermo sul binario ma partirá il giorno dopo. Ce ne sono solo 3 in tutta la giornata. Vuoti.
A Genzano ci sono scorci che restano impressi in fotografia come quadri sacri. Gioielli simili sono sconosciuti a gran parte della popolazione ma testimoniano battiti di una non rinascita, di un non progresso. Tutto dannatamente bello.
Un ultimo sguardo prima di continuare e Genzano scompare avvolta nella magia della sua oasi sconosciuta. La sua stazione.

Genzano di Lucania

Lasciata Genzano ci si addentra nel potentino e la morfologia del territorio cambia. Le colline diventano più ripide e le pianure sono più strette a ridosso dei monti lucani. Acerenza in alto, è visibile e sovrasta il suo territorio che inizia con la fermata desolata di Torre Vosa.

A primo impatto sembra un casolare abbandonato e perso nel grano. Invece è proprio lei, la fermata di Torre Vosa. La scritta è inequivocabile e i fasti di un passato indecifrabile sono chiari. Torre Vosa è in pieno deserto.


L’ultimo tratto di pianura. Di lí a poco la strada salirá. Il cielo su Torre Vosa è variopinto e nubi scure minacciano il prosieguo in terra potentina. A Torre Vosa si ha la consapevolezza che le colline materane ondeggianti siano terminate. Davanti a me Acerenza.
Dopo diversi km riesco a scovare la stazione di Acerenza che non esiste più o meglio è impacchettata in una improbabile ristrutturazione indefinita. Al suo posto due pensiline a ridosso di un muro. Gli ampi orizzonti materani sono un lontano ricordo.

Il cielo è un susseguirsi di cambiamenti e di umori. Da un lato il celeste primaverile,dall’altro nubi cariche di pioggia rendono mistico il paesaggio.
Questo contrasto di luci enfatizza la solitudine del luogo incastrato in un antro della collina dominante. Anche i binari sono tortuosi e salgono verso Pietragalla in maniera disordinata.
Lascio Acerenza probabilmente per sempre. Non ho ricordi legati ad essa e l’unico filo conduttore che mi ancora a passati più intimi è la ferrovia che mi collega con i miei luoghi, lasciati alle spalle.

Acerenza

Ora ho mollato anche la statale e mi ritrovo tra curve e rettilinei su mulattiera provinciale che costeggia la ferrovia. Dopo l’ennesima curva appare Tarantella. Una frazione. Una fermata. Funzionante.
Il nome è buffo e si trova nel vero niente. Di recente costruzione è un vero e proprio miraggio . Immaginate di trovarvi soli, a piedi, nella notte lucana e scorgere lei tra le fioche luci della sera. Un piccolo punto di appoggio pronto a farvi scappare dal luogo ostile. E la lunga attesa del treno che vi porterá sarà il contorno perfetto della notte di Tarantella.

Ora la strada s’inerpica, prende quota. Attraversa boschi. La vegetazione la fa da padrona. Non ci sono più km e km senza alberi. Tutto è fitto. E fa anche freddo. Sono di nuovo sulla statale 96 e sono appena entrato nel paese di Pietragalla.

Incredibile,la prima stazione all’ interno del paese. Non un meraviglioso scalo a distanza di sicurezza. Proprio una stazione in paese.

Addirittura Pietragalla ne ha due di stazioni. Una delle f.a.l. , l’altra delle ferrovie statali sulla linea Potenza -Foggia, ma questa è un’altra storia.
Il Sole inizia a tramontare e cerco di affrettarmi per raggiungere il capolinea di questa linea tormentata con ancora residui di visibilità.

Lascio Pietragalla per raggiungere la sua frazione, capolinea della sub linea Genzano- San Nicola. Qui il treno nuovamente finisce la sua corsa per lavori di ammodernamento della tratta. Ma la verità è che a noi la tratta piace così. Dal sapore antico. Con l’irraggiungibile come misura imponderabile.
No. San Nicola non rientra nei miei interessi,devo essere sincero. Una frazione /zona artigianale che non ispira. Resto legato emotivamente alla scoperta delle colline irsinesi ma vado avanti,direzione Avigliano.

La stazione di Avigliano Lucania è uno scalo importante. Sede della linea Potenza-Foggia e ospita il tratto promiscuo dove i binari a scartamento ridotto delle f.a.l. si inglobano in quelli a scartamento ordinario di Trenitalia. Il tutto ha inizio ad Avigliano Lucania, che a dispetto del nome fa parte di Potenza e non di Avigliano.

La stazione,rispetto a quelle viste fin’ora si presenta grande. In effetti sono due stazioni in una. Quella di Trenitalia e i due binari finali a scartamento ridotto delle ferrovie appulo lucane. Anche abbastanza frequentata.
Ho fretta ora. Voglio deviare il percorso per fotografare le stazioni di Avigliano Città e Moccaro prima di ritornare sulla linea principale. Lascio Avigliano Lucania con l’odore della pioggia.

Mi addentro in strade poderali che salgono vertiginosamente a quota 900 metri sul livello del mare fino a raggiungere il paese di Avigliano.

Per la prima volta vedo una stazione viva che, a differenza di Avigliano Lucania è in pieno paese ed è frequentata da pendolari diretti a Potenza. Scopro che il servizio che collega Avigliano con il capoluogo è una tratta stile metropolitano, con corse a cadenza oraria.

Avigliano Città

Gli interni sono frequentati dai ragazzi del posto.

Qualche rantolo di sopravvivenza rivive ad Avigliano dopo km di nulla.
Tutt’altra storia è Moccaro, in un dirupo sulla via per tornare ad Avigliano Lucania e dove le ombre della sera calano vistosamente.

Moccaro è desolata ma attiva. I treni ci passano e sono quelli della f.a.l. della linea Avigliano Cittá- Potenza.

A Moccaro fa freddo. Qualche foto immerso nelle luci della stazione e veloce scappo verso l’ultima meta.

Non arriverò a Potenza. Ho scelto di dedicarle una sezione a parte per le sue stazioni. Mi fermo all’entrata, nella frazione di Tiera, dove la sera incombe e le luci della ferrovia illuminano la mia visuale coinvolgendomi in scenari diversi, ribelli. L’attesa, con la sera inoltrata, è palpabile, soprattutto nelle stazioni e Tiera espande egregiamente il suo cosmo sfavillante di stazione di provincia.


La via del ritorno è diversa, scorrevole e, attraverso la statale Basentana, raggiungo Matera in meno di un’ora.

Tiera

La fine di un viaggio fantastico, attraverso la Lucania. Ma più precisamente attraverso la sua anima, fatta di piccole storie che si intrecciano in una via ferrata di poca importanza. Ma cos’è l’importanza se non il riflesso di quantità che noi stessi le attribuiamo?

La Lucania delle ferrovie è una Lucania introspettiva, difficile da comprendere. Facile urlare al degrado. Invece no.Ma quella mia non è nemmeno una valorizzazione o meglio una ri valorizzazione di luoghi persi. Il mio è un viaggio nei non luoghi lucani, bello cosí. Esattamente come testimoniano le scelte del tempo che li ha attraversati in un susseguirsi di decadimenti e di storie cancellate dalle memorie di un passato non lontano ma che ci raggiunge ancora quotidianamente.

Lungo la via si intrecciano destini e paesaggi. Noi scegliamo il posto accanto al finestrino.

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