Il mio nuovo viaggio inizia nella stazione di Romagnano-Vietri -Salvitelle, al confine con la Campania, in un lembo di terra strettissimo tra le gole profonde del Platano e del Tanagro. Difronte a me gli Alburni.

Ho sempre considerato i monti Alburni un punto di partenza o di arrivo, a seconda del mio senso di viaggio. Presso i monti Alburni, per me, inizia o finisce la Campania. E ad essere sincero sono sempre stato affascinato da essi perché in un certo senso rappresentano ancora oggi un po’ il concetto di Sabato del Villaggio o di quiete prima della tempesta, chiamatela un po’ come volete, tuttavia nei miei viaggi a Napoli i monti Alburni fin da bambino hanno rappresentato un qualcosa che col tempo è diventata più interessante del mio interesse stesso, Napoli appunto.

In questo luogo di confine , a ridosso di due province, la piccola stazione di Vietri, che si divide anche con gli altri due paesi già campani, mi rimanda a profumi di posti per me intimi . Morbosamente infantili e magicamente attraenti come il vicino Cilento e la piana del Sele. Ho sempre amato questi posti di confine campano e alla partenza sento un certo fervore anche se la mia direzione è opposta a quei viaggi onirici del passato.

Nonostante il mio itinerario sarà interamente lucano, la vocazione interculturale della linea ferroviaria è evidente e arricchisce di fascino il luogo deserto in cui mi trovo, stretto tra rocce.

Su di me il raccordo autostradale ha effetto montagne russe e per scovare la strada che da Potenza va a Sicignano devo alzare la testa ad angolo ottuso. Vietri di Potenza mi appare giù come una conchiglia sommersa.

Mi muovo in direzione sud est fino a raggiungere la remota e nascosta stazione di Balvano-Ricigliano, anch’essa nelle gole del Platano e su un’altura a strapiombo.

Balvano è invisibile, nascosto tra i monti che vanno verso l’Irpinia.

La stazione è selvaggia e si trova incastrata nella montagna. È l’imbrunire ma qui sotto sembra già notte. Ovviamente sono l’unico essere umano che si aggira presso lo stabile ma la linea è attiva e quindi l’impressione di essere totalmente solo un po’ si confonde nell’ipotetica attesa di un treno che, seppur raro, arriverá prima o poi con il suo carico di sogni.

Risalgo alla volta di Bella-Muro. Sul raccordo mi rendo conto che mi sto addentrando nella Lucania più interna, quella più nascosta, lasciandomi alle spalle la Campania come un passato che ancora mi trattiene nel suo caloroso abbraccio.

Ehi aspetta! Ho un nuovo lamento: per sempre in debito con un tramonto senza prezzo che, voltatomi, vedo per un attimo, prima di sparire per sempre nascosto dalla linea degli Alburni che piano piano si allontanano salutando quelle terre a me care come un duello.

A questo punto la linea ferroviaria compie una deviazione discostandosi più a nord del raccordo autostradale. Si sposta verso il Marmo-Platano in quella porzione lucana confinante con l’avellinese per poi ritornare a sud a Picerno.

Bella -Muro è uno scalo decisamente meno isolato di Vietri e Balvano. Si trova in un contesto di zona artigianale anche abitata.

Alla vista della sua stazione mi raggiungono,forti, gli echi di storie passate.

Mio padre che in un lontano inverno prima che io nascessi aveva passato una notte intera in questa stazione, di ritorno da Napoli. Mi raccontava di un vento fortissimo e di un freddo da lupi in quella notte lontana fuori dal tempo . Mi piace immaginarla così, senza troppe domande sul perchè e per come mio padre si trovasse lí.

Pochi km e raggiungo Baragiano. Anche questa stazione è ubicata in un contesto abitato. Lo scalo di Baragiano non sorride molto e le luci della sera iniziano a spadroneggiare. Le luci bianche lucane di una sera di fine estate.

Prima di Picerno svolto alla ricerca della fermata remota di Franciosa che è sbarrata e priva di ogni elemento riconducibile ad una stazione. Probabilmente non sono previste le fermate dei treni, nemmeno quelle dei regionali Potenza-Salerno.

Picerno e la sua stazione li conosco bene. A Picerno vi è un bar, forse perché la stazione è in paese , non lontana km e km come le altre. Ovviamente il bar è chiuso ma qualche grappolo di sopravvivenza umana lo intravedo nella notte picernese .

Ho percorso circa 30 km di ferrovia ma ho la sensazione di essere partito da Napoli. Forse perché questa linea ferroviaria traccia un po’ il corso della mia vita o sarà perché l’ho definita in precedenza multiculturale ma la sensazione di portarmi dietro un viaggio con un bagaglio di conoscenza superiore al contesto regionale, prende il sopravvento. Tutto ciò che mi aspetto.

Ritorno sul raccordo lasciandomi dietro le luci di Picerno e dopo pochi km entro nel contesto industriale dello scalo di Tito.

La stazione di Tito ha perso un po’ la consueta oasi di pace delle stazioni ma questi luoghi li ho sempre associati ad avamposti prossimi alla mia amata Campania. Il Vallo di Diano non è distante e dalla stazioncina di Tito riesco a scorgere la vetta del monte Cervati in pieno Cilento, in un’ ultima ed estrema sopravvivenza di luci ad ovest.

Vado via da Tito un po’ con la sensazione di lasciarmi definitivamente dietro un passato che mi ritorna ciclicamente in mente come folate di vento fresco nella calura estiva. Eh sì, l’autunno incombe su questi luoghi neri e l’aria si rinfresca ora dopo ora.

Potenza di notte appare davanti agli occhi come una giostra psichedelica in cui la strada termina. Capolinea di una linea che era completamente nera da Battipaglia. Devi quasi stropicciarti gli occhi, abituatisi al buio, alla vista delle luci della città.

Potenza Centrale , ma per molti è ancora lo scalo Inferiore, non è la classica stazione di un capoluogo. È semideserta quando arrivo. Bar ed edicola hanno chiuso i battenti lasciando solo qualche timido viaggiatore infreddolito sui tronchi per Foggia.

Lo spiazzale antistante mi ricorda vagamente alcune nottate anni 90 quando la linea per Napoli era interrotta a causa della sua elettrificazione e quindi da Napoli si doveva prendere il treno per Battipaglia e di lì proseguire in autobus. Quando si arrivava a Potenza non c’era mai nessuno e gli ultimi passeggeri scendevano svuotando il bus che continuava per Taranto solo come un cane.

Il fascino montano di città deserta tuttavia è abbastanza in contrasto con la sua vista luccicante dalla Basentana.

Lascio il capoluogo lucano con la consapevolezza che l’ultimo tratto , quello che scende verso le terre materane, sia il più duro da affrontare emotivamente.

Da Potenza in poi le luci scompaiono nuovamente. Ma questo buio è più nero.

A Vaglio i fantasmi popolano uno scalo chiuso e custodito con la loro strategia del terrore. In pochi osano entrare nella sinistra stazione di Vaglio a quell’ora. In pochissimi. Più precisamente solo io.

Il paese è lontano e altissimo. Il freddo si fa sentire. Sono in Lucania, perso in un viaggio che sa di missione senza senso ma giuro che ci credo fino in fondo.

A Brindisi di Montagna la storia non cambia. Mi sto allontanando da Potenza e sono lontano anni luce da Napoli.

Trivigno mi appare come Brindisi di Montagna: una piccola stazione di servizio su un’autostrada americana. La luce bianca che illumina i binari è un salvagente in mare aperto, un rifugio prima di sfrecciare in altre tempeste.

Dopo km di buio con piccole luci in lontananza raggiungo Albano di Lucania e qui le cime delle Dolomiti lucane sembrano sinistre e minacciose. Ti puntano, ti vengono addosso.Terra di lupi.

Fuggo alla volta di Campomaggiore-Pietrapertosa in un nero costante nel cui interno i sogni prendono forme strane. Ripenso a notti passate, alla confusione di Napoli. Non so perché, poi, mi riviene in mente un’immagine . Una notte alla stazione di Eboli tanti anni fa. Ignoro il motivo del perchè fossi lí.Aspettavo il treno per Napoli e non c’era nessuno. Ero appoggiato ad una grossa catena appena davanti alla stazione accarezzato da una brezza fresca di provenienza tirrenica. Ma qui il ricordo svanisce e addirittura mi sembra di aver sognato quella situazione e non di averla vissuta. Non l’ho mai capito.

Sono tante le cose che mi passano davanti agli occhi nel buio delle Dolomiti lucane.

Voltandomi riesco persino a scorgere Pietrapertosa , il centro più alto di Lucania, le cui luci quasi toccano la cima delle Dolomiti.

Poi ad un certo punto, come una tempesta interiore, le montagne si abbassano, la pianura si apre e gli orizzonti si allargano. E ti senti padrone del mondo.

Entro nella provincia di Matera come un Cristoforo Colombo qualsiasi che scopre un’America già nota ma la sensazione di nuovo mi pervade comunque.

Calciano è il primo avamposto materano. La stazione è molto bella , nascosta nella collina da cui partirà poi l’immensa pianura metapontina fino al mare.

L’unica luce di Calciano stazione è una lampada bianca che sbatte, mossa dal vento, sul muro dello stabile. Il posto incute timore ma sono giù a valle e sento un’aria diversa, più mite di quella fredda dei monti potentini.

Dopo Calciano è la volta di Grassano , Salandra, Ferrandina e Pisticci, tutte uguali, tutte in fondo alla valle,immerse nella loro solitudine settembrina di luci riflettenti strani rossori e strani ritorni. Scali industriali in un buio meno nero ma più monotono.

Sfreccio dritto verso il mar jonio e quasi non mi accorgo della stazioncina di Bernalda che , assorta nella piana metapontina, riecheggia lamenti del vento caldo nella campagna spoglia. Si sente l’odore del mare e ancora un po’ di estate.

Metaponto , con il suo bagaglio di decadenza mi sembra una stazione enorme , crocevia di più direzioni, Calabria,Puglia,Lucania e Campania ma sono solo anche ora.

Esco dalla stazione e l’esterno, deserto, mi sembra un luna park a luci spente,che ha appena chiuso e che nella sua desolazione ripercorre tutto il mio viaggio.

Un viaggio forse inutile , struggente e bellissimo, malefico e fantastico attraverso la Lucania nella sua spina dorsale.

Una linea da mare a mare che taglia in due una regione e , lungo le sue viscere, funge da partenza/arrivo per i propri sogni, per i propri incubi , attraverso poche facce intraviste lungo il percorso. Facce lucane che esistono solo qui , facce senza nome, facce che probabilmente non riconoscerei altrove, facce che mi compaiono in mente all’improvviso, e sono quelle che stasera, aspettando un altro viaggio, inspiegabilmente mi fanno mancare il fiato.

Lascia un commento

In voga