Parte dalla stazione di Metaponto il mio tour jonico del tratto lucano della Taranto-Sibari-Reggio Calabria.
Il tragitto è breve e gli scarsi 40 km di ferrata percorrono interamente la pianura metapontina.
Il volto marittimo di una regione a carattere prevalentemente montuoso, riflesso fedele della personalità lucana.
E i paesi della linea non mentono. Sono paesi di mare ma il mare non lo vedi. Non ha scavato nell’animo di una regione nata montuosa. Il mare c’è ma è più in là. Metaponto ha il mare, ma esso non è parte integrante di Metaponto come non lo sarà di tutti gli altri posti che incontrerò .
La stazione di Metaponto è grande. Dopo Potenza Centrale è la più importante di Lucania. Crocevia di linee per Puglia, Calabria e Napoli/Roma.
Il mio tour inizia di notte. In una notte invernale quando Metaponto ancora è avvolta nel suo torbido rossore di luci che enfatizzano la lontananza della bella stagione.
L’inverno è accentuato dalla desolazione del posto.
Alla stazione non ci sta nessuno ma la solitudine di Metaponto è meno marcata rispetto alle stazioncine lucane tipiche perché Metaponto è uno scalo vero. Di qui si parte e si arriva e la percezione resta tale anche quando non c’è anima viva. Ed ora sono solo ad osservare la stazione della località balneare per eccellenza, almeno nel ricordo collettivo.
Il piazzale antistante è desolante come pochi. Il vento soffia potente a cancellare ogni barlume di spiraglio estivo che associo quasi meccanicamente al luogo in cui mi trovo. Metaponto per me è estate. D’inverno indossa panni non suoi.
Il territorio circostante, anch’esso ossimoricamente estivo ma ora freddo e desolato, evoca noie moraviane. Metaponto è un borgo e la sua stazione si trova tra l’abitato e il lido, in terra di nessuno.
Procedo in direzione sud in rettilinei monotoni e bui. La costa lucana è una linea retta da Metaponto a Nova Siri. Ma in questo nero totale scorgo la vecchia stazione di Marconia ora Posto di Movimento.
È chiusa , sbarrata, impenetrabile. Come una fortezza medievale. Si trova a ridosso della statale Jonica, alla sinistra di un bivio come tanti per il mare.
Il piazzale, se così si può chiamare, antistante lo stabile, altro non è che una pozzanghera di terra battuta avvolto nell’oscurità. La fioca luce bianca proviene dal lato binari dove lo scenario cambia.
Il posto mette i brividi ma esercita un fascino totalmente coinvolgente e il rumore delle acacie smosse dal vento creano alchimie invisibili nella pianura. Lo scintillio dei binari si scorge fin giù alle luci dei semafori.
Marconia è lontanissima da lí e forse nemmeno sa di avere una stazione. Eppure un segmento di fascino ferroviario lo possiede, inconsapevole, maltrattato, totalmente ignorato.
Ma anche se Marconia avesse avuto cura della propria stazione non avrebbe avuto altro che quella, forse un po’abbellita, con qualche colata di vernice in più e qualche altro lampione ad illuminare quel buio passando alla storia senza infamia e senza lode. Mentre il concetto inafferrabile di luogo deserto e di unica luce bianca nella notte jonica crea un’opera d’arte imperitura. Ma anche in questo caso bisogna avere distorsioni della coscienza ferroviaria per poterne afferrare il senso.
Dopo Marconia entro a Scanzano Jonico . La stazione si trova in paese, non a km di distanza come sono abituato.
Esso è deserto , sono l’unico a percorrere le sue strade in auto.
Raggiungo la stazione che mi avvolge immediatamente nel suo incanto impreciso. Scanzano è sfuggente. Le luci bianche sono a bassa intensità e creano un’atmosfera irripetibile nella notte lucana. Il mare è oltre i binari, distante qualche km ma a Scanzano puoi immaginarlo proprio lí di fianco.
Sono solo a Scanzano. L’impressione è quella che debba succedere qualcosa da un momento all’altro. Questa tensione cerco di farla durare il più possibile. Sposa perfettamente l’atmosfera ferroviaria, quella delle lunghe attese di rari treni. E Scanzano è proprio così. D’estate i treni giornalieri sono tre per Taranto e tre per Reggio Calabria. D’inverno calano drasticamente. Se dovessi aspettarne uno sarei bloccato fino al mattino successivo e la sensazione di magia prende il sopravvento in quel luogo improbabile in un orario ancor più improbabile.
Pochi km più avanti ed entro a Policoro. Il paese è importante nel contesto lucano e dopo Potenza e Matera è il terzo per popolazione. Non arriva a ventimila abitanti ma d’estate si raddoppia. Ma il mare è troppo estraneo a Policoro nella notte invernale.
La stazione è ubicata in un angolo di oscurità proprio sulla via del mare, via Lido, barriera fredda e apatica tra il paese e lo Jonio che ricorda ai lucani la propria identitá non marina.
Policoro stazione è una vera oasi nel buio. I neon bianchi illuminano la porzione lato binari dello stabile.
A rompere la quiete policorese, un lunghissimo merci che risale verso Taranto e dopo il rumore del vicino passaggio a livello di via Lido ripiombo prepotentemente nel silenzio assoluto.
Si riesce a sentire il rumore del mare in lontananza che infrange le sue onde sulla costa.
Policoro stazione ha un bar, per ovvi motivi chiuso a quest’ora e seppur defilata rispetto a Scanzano che la ospita in pieno paese, non è lontana che un paio di km dal centro.
D’estate questo scenario cambia completamente, avvolto nell’odore di fragole e fiori e, nella confusione di via Lido del fine settimana, la stazione conserva un ritaglio di quiete.
Via Lido di notte è un’attesa. L’attesa di un’estate ancora lontana ma che inesorabilmente torna a riaccendere di colori il paese e l’intera costa materana.
Riprendo la strada in direzione Nova Siri, ultima tappa del mio itinerario. Sulla mia destra, le luci dei paesi dell’ entroterra, sui monti sembrano appartenenti ad un’altra regione fuori dal tempo, non la stessa Lucania che sono intento attraversare. Sono schivi e rispecchiano la loro distanza qui giù a valle in leggeri declivi.
La piana di Metaponto ora si restringe e le luci della Calabria mi si presentano nella visuale prima di svoltare per lo scalo di Nova Siri.
La stazione è nell’abitato, che negli anni è diventato il centro principale del dimenticato paese su in collina. Oltre quel nero, il massiccio del Pollino.
Nova Siri è un posto di confine. Si respira già aria calabrese e quando raggiungo il piazzale della stazione scorgo i primi e unici rantoli di sopravvivenza giovanile della nottata, ammucchiati nel bar vicino.
La stazione Nova Siri-Rotondella è fedele alla collocazione marina del territorio e assorbita totalmente nello sfondo jonico con le sue luci penetranti nell’introspettivitá.
Il breve tratto lucano della ferrovia Jonica finisce qui. Anticamente, tra Policoro e Nova Siri vi era la fermata di Sinni ma probabilmente non esiste più. Vani tentativi di ricerca nel buio mi riportano sulla via del ritorno con un bagaglio in più di conoscenza di luoghi e strade ferrate di Lucania.

Lascia un commento

In voga