Scendendo dal Tavoliere ci si addentra in Lucania oltrepassando la “porta” di Basilicata, il Vulture. Confine naturale di tre regioni,mischiando dialetti irpini, dauni e lucani.
La prima stazione lungo il tragitto è quella inaccessibile di Leonessa, frazione di Melfi. La fermata è sopraelevata lungo una strada che sembra privata. Ma in realtà ci sono pochissime case nelle circostanze.
Leonessa affaccia sulla pianura che apre la grande distesa foggiana e dalla sua altura domina gli orizzonti fino alle valli di Ofanto e Bradano. La giornata è limpida.
La fermata dopo Leonessa è forse quella più importante del tratto lucano. Melfi appare viva e la sua stazione è in pieno paese. L’importanza del centro lucano la si percepisce subito anche se la stazione mantiene la sua oasi di pace.
All’esterno il viavai è fin troppo vivo per un paese di nemmeno ventimila abitanti ma è al suo interno che si possono intravedere scorci di memorie risorgimentali e contaminazioni di astrattismo naturale.
La stazione è stata modernizzata anche se si distinguono le ristrutturazioni dell’ultimo decennio.
Non sosto molto a Melfi e la nuova statale mi confonde lasciando che la vecchia stazione di Rapolla sfugga alla mia caccia.

Giungo quindi a Barile dove assaporo un odore medioevale di altri tempi. La stazione si trova in un ampio spiazzale che sembra un set western. A Barile becco anche un treno che da Foggia va a Potenza. Ci sta persino gente ad aspettare! La stazione è nel paese e rende vivo il piccolo centro vulturino che mi appare ridente.
Anche a Rionero trovo una stazione in pieno paese, lungo un margine di esso. Rionero è praticamente alle pendici del vulcano spento Vulture ma esso lo si scorge soltanto allontanandosi.
Mi allontano lungo strade di campagna che oltrepassano ondeggianti colline spoglie. Forenza è la prossima meta. La sua stazione è lontanissima dal paese. Isolata come poche, la raggiungo ai primi bagliori del tramonto che, in contrasto con i colori delle distese lucane, assume profili pittoreschi magici. A Forenza il tramonto più bello di Lucania mi travolge nel suo splendore .
Il Vulture sullo sfondo domina la scena. La sub regione del vulture-melfese racchiude scenari luminosi che bruciano come braci ardenti in arancioni fosforescenti.

Forenza è sola completamente. Non c’è traccia umana. Solo vento.
Gli angoli che mi si presentano sono da immortalare immediatamente. Incantano nella loro vastità di colori. Dall’altro lato il volto triste di Forenza mi appare in tutto il suo oscuro fascino come come uno scudo di Perseo a coprire tramonti inimmaginabili da quel lato.
Com’è possibile che da un lato all’altro della stazione possano cambiare gli scenari come umori bipolari? Il ruolo della luce determina un vantaggio netto nella metamorfosi introspettiva.
Lasciata Forenza, la triste e bellissima stazione di Forenza, la strada inizia a percorrere vallate tortuose e torna,fitta, la vegetazione. Anche la temperatura scende. Il vento di Forenza lascia il posto al bosco. E tra curve improbabili sbuca,come un diamante, la stazione di Filiano, autentico capolavoro. Sia benedetto chi l’ha costruita verrebbe da dire. Ma questo potrà dirlo solo chi ha occhi per vedere.
Credo che a Filiano non salga nè scenda nessuno. Mai. A sua difesa la strada diventa ostile e le curve sembrano serpenti stritolatori prima di raggiungerla. Filiano è una fiaba nella foresta.
Credo anche di essermi innamorato a Filiano. Proprio come quegli incroci di sguardi che restano eterni.
Avrei aspettato il calare della notte per immortalare Filiano in tutta la sua riservatezza ma riprendo le curve in direzione Castel Lagopesole. Lascio Filiano alle mie spalle come una città d’arte, conscio che per studiarla bene dovrò ritornarci con altri colori e altre stagioni. Forse altri umori.
Anche Castel Lagopesole stazione possiede il suo carico di desolazione ardente. La ferrovia si trova in fondo ad una discesa che percorre la frazione. La raggiungo che inizia a calare l’ombra della notte e le luci fredde della distesa vulturina mi danzano davanti alla maniera di incantesimi ammalianti, un po’tristi.Domenica pomeriggio. Il tramonto prende consistenza a Castel Lagopesole e inizia la sua lotta contro il suo lato oscuro.
Il Vulture è più piccolo sullo sfondo ma la sua possente presenza domina ancora la scena. A Castel Lagopesole l’aria è fresca, il vento spira a tratti e solleva residui invernali. Il luogo è deserto e la vista spazia su orizzonti vasti. Mi volto e Lagopesole attende un treno raro che al suo passaggio smuoverá la percezione di sogno in cui versa la stazione riportandomi con irruenza alla mia realtà sconnessa.
Dopo Lagopesole incontro, a breve distanza, Possidente. Il piccolo centro, frazione di Avigliano, sembra un luogo anonimo invece nasconde qualcosa che noto immediatamente perché mi sta quasi aspettando: La fine del tramonto.
A Possidente vive il suo picco di colore bruciando alto in direzione Vulture.
La stazione è deserta e le luci dei paesi in lontananza amplificano l’incombere della notte vulturina.
Il cielo su Possidente crea strane alchimie e la parabola discendente del Sole, con la sua rapidità, mi costringe a correre verso Pietragalla.
Lascio la taciturna stazione di Possidente e i suoi demoni nel cielo per l’ultima tappa della mia gimcana ferroviaria.

La linea continua per Potenza, dopo Pietragalla, ma le stazioni di Avigliano Lucania e Tiera le ho già incontrate nel tratto promiscuo delle Ferrovie Appulo Lucane da Gravina a Potenza. A Pietragalla infatti convergono le linee F.A.L. e RFi anche se in stazioni distanti tra loro mischiando destini e destinazioni.

È sera inoltrata ormai quando raggiungo la ferrovia, perché mi attardo sbagliando più volte bivio.

Le luci di Pietragalla nella sera lasciano ampi spazi all’immaginazione. I paesi in lontananza non li conosco, non conosco le loro storie e le loro luci sembrano affondanti nella nera notte riflettendomi la loro estraneità con freddo fascino. Di giorno invece lo stesso paesaggio si sarebbe trasformato perdendo la magia dello scenario notturno e sarebbe uscito dal mio interesse subendo la mia vendicativa indifferenza ma ora è notte e sono io la vittima incantata del loro conturbante incantesimo.
La desolante area ferroviaria evoca scenari fatati di spirito giovanile contaminati da sogni evasivi.
Il buio su Pietragalla aumenta minuto dopo minuto lasciandomi solo completamente. Il vento sbatte la porta dello stabile. C’è tensione a Pietragalla. Il suo scenario poetico assume volti camaleontici, introspettivi.

Da qualche parte ho già visto questa stazione, forse in un sogno dimenticato ma la sensazione di esserci già stato è ipnotica. Ti avvolge in un abbraccio che fonde gli stati d’animo personalizzandoli al proprio contesto emotivo.
Pietragalla è come la fine di un bel film che ti lascia con quella sensazione di non sai cosa. O forse di troppo realistico da sembrare inafferrabile. Come il concetto di stazione.
Nelle ombre della sera scorgo bagliori che riflettono intimità nascoste, inesplorate. Gli alberi mossi dal vento creano il sottofondo perfetto nella notte di Pietragalla.
Faccio ritorno attraversando il buio basentano sempre più convinto che la Lucania delle ferrovie sia una saga da gustare in tutti i suoi stupendi episodi.

Forenza stazione

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